Gianpaolo Trotta

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Andrea Roggi è uno scultore, in un certo senso, tradizionale, essendosi ‘riappropriato’ di materiali (quali il bronzo ed il travertino) e di tecniche (come la fusione a cera persa) antichi. Ciò nonostante, le sue opere – figurative, sì, ma mai oleograficamente veriste – sono estremamente moderne e affascinanti. Spesso si è erroneamente ritenuto che un’arte concettuale dovesse esprimere un’idea senza ancorarsi alla bellezza della figurazione: le sculture di Roggi rivelano, invece, una profonda meditazione simbolica ed allegorica sull’esistenza attraverso forme magistralmente ricche di pathos e di eleganza formale.

La produzione più significativa degli ultimi anni si è concentrata sulla figura umana ‘rarefatta’ che assurge a simbolo di una pacata riflessione sulla vita, sul Cosmo ed sul suo costante ed inesorabile trasformarsi. Le sue figure rappresentano l’umanità tutta: la materia stessa di cui sono fatte pare forgiata e plasmata con il tempo e con lo spazio. Frammenti del passato come ripescati da un simbolico mare e proiettati da un demiurgo nel vento cosmico. Nel turbinio di questa materia eterna, “cerchio della vita”, si afferra e si dissolve l’incontro di amanti “sospesi nel vuoto” (titoli di serie di sue opere). Figure danzanti, come puri “fiori di sogni” (titolo di un’atra sua serie di opere), alla ricerca della “conoscenza” pur in una dimensione spesso latamente ludica e ‘infantile’ (nell’accezione positiva di appartenente alla serenità dell’infanzia).

Nelle sculture di Roggi, anche in quelle più maestose di commissione pubblica, dedicate a personaggi e popolazioni, è racchiuso il metro che misura il Tempo e lo Spazio alla ricerca di una catarsi finale, scrutando – cercando di penetrare cioè – la realtà futura attraverso una pausata riflessione creativa ed una serena memoria ancestrale. Egli tenta di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio. E, forse, per le opere di Roggi sarebbero calzanti, a commento, alcune delle musiche dell’ungherese, naturalizzato austriaco, György Lieti (1923-2006), uno fra i più grandi compositori di musica strumentale del Novecento (come Atmospheres; Lux Aeterna; Adventures e Requiem). Oppure, per alcune sue dinamiche composizioni, contraddistinte da un lirismo tenue, arioso, mai decorativo, quelle di Gabriel Fauré (1845-1924), il noto compositore francese che aveva segnato il passaggio dal romanticismo ‘emotivo’ a un'ideale essenzialità, tendente a trasformarsi in messaggio morale ed etico.

Tutto, nelle sculture di Roggi, converge magicamente in un unicum armonico ed escatologico finale, pur nella variegata poliedricità di forme e di materiali, come emblematicamente paiono suggerire i cerchi di figure quasi danzanti attorno ad un grande ombelico-centro solare, che, al pari di un cuore immanente e trascendente allo stesso tempo, batte e palpita nel Cosmo, in un cosmo fatto di luci e di ombre, dove l’ombra che si sprigiona dai bronzi ‘squamati’ e traforati non può esistere senza la Luce , ma neppure la Luce può sussistere senza le sue ‘ombre’. Così, possono addirsi alle sculture roggiane le parole dette da un altro scultore siciliano (attualmente docente all’Accademia di Venezia), che noi altrettanto stimiamo, Giuseppe La Bruna : “ogni cosa ha una sua verità entro la quale è nascosta una bugia, ma nella bugia, spesso, è intrappolata la Verità che tanto fa male a chi usa con arroganza la bugia”.

Alcuni suoi contrappunti cromatici in oro oppure in verde sul bronzo (si pensi alla variegata serie degli Olivi) rendono solenne e ’antica’ la processione ascensionale delle figure che si incontrano e si uniscono, come diretta ad un celeste “priscum templum et religiosum” (per usare una citazione di Plinio il Giovane a proposito del tempio di Clitunno presso Trevi in Umbria), unendovi il fascino di un sacro connubio tra la Madre Terra e Sacro Cielo.

Sculture, quelle di Roggi, che uniscono tutto il fascino antico e classico alla gestualità materica e simbolica postmoderna.

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In questa prima edizione della mostra di Arte sacra di Laterina (Pax hominibus. Riflessioni sul Sacro contemporaneo) Andrea Roggi è l’ospite d’onore, con quattro sue paradigmatiche opere.

Nativo di Castiglion Fiorentino (quindi, della stessa Provincia di Arezzo nella quale si trova pure Laterina) e profondamente radicato alla sua terra, l’artista, assai noto non solo nell’Aretino ma anche all’estero, plasma le sue sculture in bronzo – tutte legate ad un figurativo simbolico – deformando, distorcendo, inflettendo, tagliando e traforando il metallo e, così, liberandolo quasi dal suo pondus, cioè dal suo peso materico e facendolo ‘ascendere’ ai Cieli, in un vortice aereo e dinamico.

I suoi rammentati Olivi (della serie Tuscan Trees and man) talora si sradicano dalla terra, come nell’opera esposta a Laterina, per librarsi nell’aria e verso l’Alto, cui anelano le verdi foglie e i frutti dorati; il loro tronco nodoso e contorto si tramuta in due figure – un uomo ed una donna – che si annullano, longilinee, affusolate dinamicamente come rami – lunghe braccia della Natura – avvinghiate tra loro in una spirale elicoidale e ascensionale quasi di danza e si ‘squarciano’ in una sorta di corteccia interiormente dorata come il fondale di un’icona bizantina, nella quale la sfera aurea perfetta significa la Vita , l’Anima, l’Essenza profonda e ‘divina’. Così, la nuova metamorfosi di ovidiana memoria, già rinnovata in tal senso (esistenzialistico) dall’Apollo e Dafne dipinto nel 1968 da Pietro Annigoni, si capovolge e la Natura significata dall’olivo si tramuta in esseri umani autocoscienti e consapevoli del Divino: la pianta si trasforma non solo in simbolo della pace così come già nella Bibbia, ma in allegoria dell’amore umano-divino che unisce anima e corpo (una caro spiritusque unus).

La sfera del mondo (della serie Life) è un reticolo permeabile (sorta di rivisitazione moderna ed ingigantita di un aureo e profumato pomander, pomme d'ambre, arabo o medioevale), una rete magica le cui maglie sono costituite da una spirale romboidale di schematici, ‘elementari’ fanciulli (maschi e femmine) che si tengono per mano, in una simbolica catena della Vita, resa come un ricamo leggero di bronzo. Un inno, ancora una volta, alla pace, all’amore universale in un mondo più giusto, a misura d’uomo e di natura. Lo stesso dicasi anche per la traforata Campana (sorta di reinterpretazione della perduta Campana delle Otto Finestre voluta da Guido Gonzaga nel 1444 e già nella Basilica di Sant'Andrea in Mantova), un simbolo religioso identificato con il suono della vibrazione primordiale e per questo rappresentante l’unione fra cielo e terra, ‘voce’ di Dio stesso. Anche in questo caso la ‘trama’ è costituita da figure che si tengono per mano. Queste opere hanno un intrigante riferimento concettuale con quelle di un altro scultore, scomparso lo scorso anno, Bruno Benelli, anima e motore delle Biennali di Arte Sacra di Pistoia fino al 2006, che ha saputo piegare il bronzo alla sua fantasmagorica immaginazione creatrice, giustapponendo ed incastrando nelle trame e nelle reti di ferro dei suoi telai schegge metalliche ossidate o lucidate, ‘ferite’ e trapassate dalla luce.

Il Cristo risorto (che noi accomuniamo alla serie di opere Out and inside you) è, invece, una figura che, ancora nella postura del Crocifisso, a braccia allargate, viene ‘proiettata’ in avanti, nell’aria, nei Cieli, dall’esplosione ‘atomica’ della Resurrezione. Il corpo si lacera e si espande con forte drammaticità, come in un novello Big Bang della vita alle origini, e diviene etereo pur nella fisionomia della carnalità ad indicare il nuovo ‘corpo’ del Risorto. Un bronzo fortemente ‘teatrale’ (nell’accezione positiva del termine, quale novella ‘macchina’ barocca), concettuale e spirituale, che si distacca dinamicamente da quel supporto di travertino, raffigurante insieme la croce del patibolo, la lastra dell’avello, l’albero della vita. E alla base, nella ‘terra’ petrigna e ancora una volta travertinosa, non troviamo il leggendario cranio di Adamo sepolto nel Golgota, ma la ricorrente sfera liscia e luminosa roggiana a indicare l’unione tra lo Spirito di Dio e quello dell’Uomo riconciliato con il suo Creatore.

Nella sua creazione compaiono strutture ed elementi definenti il corpo di Cristo in un continuo divenire, che si auto-disegnano nello spazio come nuclei di pura energia ed equilibrio armonico. L’aerea aggregazione-disgregazione materica tende a trasformarsi in dinamico equilibrio di frammenti-idee-intuizioni trascendenti, intrisi di un’aspirazione al movimento che anela a rappresentarne l’energia che lo origina e che si manifesta come forza centripeta e centrifuga ad un tempo. La scultura si presenta come una tormentata superficie articolata in cui il rigore non scade mai in una rigidezza compositiva o in una fredda plasticità. Un processo creativo assolutamente originale, che ha consentito a Roggi di raggiungere livelli formali di altissima qualità, nei quali l’indagine spaziale, ripetiamo, appare quanto mai integrata con la ricerca della forma, possedendo una singolare vena ed una valenza narrativa e filosofico-etico-concettuale.

Nel caso di Andrea Roggi, la scultura si porta dentro un'aspirazione e un destino di libertà. Fin dagli esordi le sue opere, infatti, hanno celebrato la creatività di un artigianato spontaneo, fantastico e fantasioso che rivela una gioia e una forza vitali, intrise, però, di una schietta sacralità cristiana arcaica e ‘contadina’. Come un demiurgo, egli ha la facoltà di ‘rigenerare’ il reale e di farlo in forme nuove e simboliche, in forme che vanno oltre l'ovvietà dell'apparente e del conosciuto per raggiungere nuovi accenti di poesia e di vita. Roggi dà libertà creatrice alla sua mirabolante fantasia, realizzando sculture di bronzo, di resina e di travertino dal forte impatto formale e semantico, di robusta tecnica e autonomia espressiva. Le sue sculture, come si è detto, rivelano sempre una profonda meditazione simbolica ed allegorica, riflessione esistenziale sul Cosmo e sul suo creare il Tempo e la Storia. Una visione cosmogonica dove, come per Lucrezio, la materia è ‘divina’ ed eterna nel suo ondulatorio divenire (De rerum natura: “nessuna cosa mai si genera dal nulla […], nulla può esser prodotto dal nulla […]; non può […] ogni cosa ridursi al nulla […], non ritorna dunque al nulla alcuna cosa, ma tutte per disgregazione ritornano agli elementi della materia). Nel turbinio di questa materia eterna si coglie e si perde l’attimo fuggente, in un continuo fluire, dove gli elementi (il bronzo scaturito dalla ‘terra’, il ‘fuoco’ che l’ha forgiato, l’’acqua’ che l’ha raffreddato, l’’aria’ che lo circonda) si gonfiano come vele, respirano sotto la spinta del vento generatore-‘ispiratore’. Da queste sfere, da queste campane traforate, al pari che dai suoi voli di metafisici puttini e di funamboliche ballerine, si sprigiona, come da crisalidi, la gioia della vita, da questi ‘archetipi’ deriva la molteplicità della Natura e degli esseri viventi, il senso ‘divino’ e ‘sacro’ della vita umana. Una plasticità ed una permeabilità che, come si è detto, libera i materiali dal proprio pondus. Metafore del viaggio dell’umanità in perenne ricerca di nuovi orizzonti e di nuove – anche scomode – terre interiori e spirituali. La ricerca dello scultore toscano si rivolge ad esplorare le infinite possibilità della forma, talvolta esteriormente racchiusa entro reticoli metallici e tubolari di strutture geometriche euclidee, sempre visibilmente animata da un'energia interna proiettata verso la conquista dello spazio. Roggi, nelle sue opere, che sono costantemente materializzazioni di archetipi e di idee, elabora un proprio codice espressivo parallelo, ma del tutto singolare, rivolto, pur rimanendo ancorato alla figurazione, alla poetica dell’astrazione.

 

Giampaolo Trotta

 

 

 

 

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Andrea Roggi

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