Andrea
Roggi è uno scultore, in un certo senso, tradizionale, essendosi
‘riappropriato’ di materiali (quali il bronzo ed il travertino) e di
tecniche (come la fusione a cera persa) antichi. Ciò nonostante, le sue
opere – figurative, sì, ma mai oleograficamente veriste – sono
estremamente moderne e affascinanti. Spesso si è erroneamente ritenuto
che un’arte concettuale dovesse esprimere un’idea senza ancorarsi alla
bellezza della figurazione: le sculture di Roggi rivelano, invece, una
profonda meditazione simbolica ed allegorica sull’esistenza attraverso
forme magistralmente ricche di pathos
e di eleganza formale.
La
produzione più significativa degli ultimi anni si è concentrata sulla
figura umana ‘rarefatta’ che assurge a simbolo di una pacata
riflessione sulla vita, sul Cosmo ed sul suo costante ed inesorabile
trasformarsi. Le sue figure rappresentano l’umanità tutta: la materia
stessa di cui sono fatte pare forgiata e plasmata con il tempo e con lo
spazio. Frammenti del passato come ripescati da un simbolico mare e
proiettati da un demiurgo nel vento cosmico. Nel turbinio di questa materia eterna, “cerchio della vita”,
si afferra e si dissolve l’incontro di amanti “sospesi nel vuoto”
(titoli di serie di sue opere). Figure danzanti, come puri “fiori di
sogni” (titolo di un’atra sua serie di opere), alla ricerca della
“conoscenza” pur in una dimensione spesso latamente ludica e
‘infantile’ (nell’accezione positiva di appartenente alla serenità
dell’infanzia).
Nelle
sculture di Roggi, anche in quelle più maestose di commissione pubblica,
dedicate a personaggi e popolazioni, è racchiuso il metro che misura il
Tempo e lo Spazio alla ricerca di una catarsi finale, scrutando –
cercando di penetrare cioè – la realtà futura attraverso una pausata
riflessione creativa ed una serena memoria ancestrale. Egli tenta
di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per
penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio.
E, forse, per le opere di Roggi sarebbero calzanti, a commento, alcune
delle musiche dell’ungherese, naturalizzato austriaco, György Lieti
(1923-2006), uno fra i più grandi compositori di musica strumentale del
Novecento (come Atmospheres; Lux Aeterna;
Adventures e Requiem). Oppure, per alcune sue dinamiche composizioni,
contraddistinte da un lirismo tenue, arioso, mai decorativo, quelle di Gabriel Fauré (1845-1924),
il noto compositore francese che aveva segnato il passaggio dal
romanticismo ‘emotivo’ a un'ideale essenzialità, tendente a
trasformarsi in messaggio morale ed etico.
Tutto,
nelle sculture di Roggi, converge magicamente in un unicum
armonico ed escatologico finale, pur nella variegata poliedricità di
forme e di materiali, come emblematicamente paiono suggerire i cerchi di
figure quasi danzanti attorno ad un grande ombelico-centro solare, che, al
pari di un cuore immanente e trascendente allo stesso tempo, batte e
palpita nel Cosmo, in un cosmo fatto di luci e di ombre, dove l’ombra
che si sprigiona dai bronzi ‘squamati’ e traforati non può esistere
senza
la Luce
, ma neppure
la Luce
può sussistere senza le sue ‘ombre’. Così, possono addirsi alle
sculture roggiane le parole dette da un altro scultore siciliano
(attualmente docente all’Accademia di Venezia), che noi altrettanto
stimiamo, Giuseppe
La Bruna
: “ogni cosa ha una sua verità entro la quale è nascosta una bugia, ma
nella bugia, spesso, è intrappolata
la Verità
che tanto fa male a chi usa con arroganza la bugia”.
Alcuni
suoi contrappunti cromatici in oro oppure in verde sul bronzo (si pensi
alla variegata serie degli Olivi)
rendono solenne e ’antica’ la processione ascensionale delle figure
che si incontrano e si uniscono, come diretta ad un celeste “priscum
templum et religiosum” (per
usare una citazione di Plinio il Giovane a proposito del tempio di
Clitunno presso Trevi in Umbria), unendovi il fascino di un sacro connubio
tra
la Madre
Terra
e Sacro Cielo.
Sculture,
quelle di Roggi, che uniscono tutto il fascino antico e classico alla
gestualità materica e simbolica postmoderna.
*****
In
questa prima edizione della mostra di Arte sacra di Laterina (Pax
hominibus. Riflessioni sul Sacro contemporaneo) Andrea Roggi è l’ospite d’onore, con quattro sue
paradigmatiche opere.
Nativo
di Castiglion Fiorentino (quindi, della stessa Provincia di Arezzo nella
quale si trova pure Laterina) e profondamente radicato alla sua terra,
l’artista, assai noto non solo nell’Aretino ma anche all’estero,
plasma le sue sculture in bronzo – tutte legate ad un figurativo
simbolico – deformando, distorcendo, inflettendo, tagliando e traforando
il metallo e, così, liberandolo quasi dal suo pondus, cioè dal
suo peso materico e facendolo ‘ascendere’ ai Cieli, in un vortice
aereo e dinamico.
I suoi
rammentati Olivi (della serie Tuscan Trees and man) talora
si sradicano dalla terra, come nell’opera esposta a Laterina, per
librarsi nell’aria e verso l’Alto, cui anelano le verdi foglie e i
frutti dorati; il loro tronco nodoso e contorto si tramuta in due figure
– un uomo ed una donna – che si annullano, longilinee, affusolate
dinamicamente come rami – lunghe braccia della Natura – avvinghiate
tra loro in una spirale elicoidale e ascensionale quasi di danza e si
‘squarciano’ in una sorta di corteccia interiormente dorata come il
fondale di un’icona bizantina, nella quale la sfera aurea perfetta
significa
la Vita
, l’Anima, l’Essenza profonda e ‘divina’. Così, la nuova
metamorfosi di ovidiana memoria, già rinnovata in tal senso
(esistenzialistico) dall’Apollo e Dafne dipinto nel 1968
da Pietro Annigoni, si capovolge e
la Natura
significata dall’olivo si tramuta in esseri umani autocoscienti e
consapevoli del Divino: la pianta si trasforma non solo in simbolo della
pace così come già nella Bibbia, ma in allegoria dell’amore
umano-divino che unisce anima e corpo (una caro spiritusque unus).
La
sfera del mondo (della serie Life) è un reticolo permeabile (sorta
di rivisitazione moderna ed ingigantita di un aureo e profumato pomander, pomme
d'ambre, arabo o medioevale), una rete magica le cui maglie sono
costituite da una spirale romboidale di schematici, ‘elementari’
fanciulli (maschi e femmine) che si tengono per mano, in una simbolica
catena della Vita, resa come un ricamo leggero di bronzo. Un inno, ancora
una volta, alla pace, all’amore universale in un mondo più giusto, a
misura d’uomo e di natura. Lo stesso dicasi anche per la traforata Campana
(sorta di reinterpretazione della perduta Campana delle Otto Finestre
voluta da Guido Gonzaga nel 1444 e già nella Basilica di Sant'Andrea in
Mantova), un simbolo religioso identificato con il suono della vibrazione
primordiale e per questo rappresentante l’unione fra cielo e terra,
‘voce’ di Dio stesso. Anche in questo caso la ‘trama’ è
costituita da figure che si tengono per mano. Queste opere hanno un
intrigante riferimento concettuale con quelle di un altro scultore,
scomparso lo scorso anno, Bruno Benelli, anima e motore delle Biennali di
Arte Sacra di Pistoia fino al 2006, che ha saputo piegare il bronzo alla
sua fantasmagorica immaginazione creatrice, giustapponendo ed incastrando
nelle trame e nelle reti di ferro dei suoi telai schegge metalliche
ossidate o lucidate, ‘ferite’ e trapassate dalla luce.
Il Cristo
risorto (che noi accomuniamo alla serie di opere Out and inside you)
è, invece, una figura che, ancora nella postura del Crocifisso, a braccia
allargate, viene ‘proiettata’ in avanti, nell’aria, nei Cieli,
dall’esplosione ‘atomica’ della Resurrezione. Il corpo si lacera e
si espande con forte drammaticità, come in un novello Big Bang della vita
alle origini, e diviene etereo pur nella fisionomia della carnalità ad
indicare il nuovo ‘corpo’ del Risorto. Un bronzo fortemente
‘teatrale’ (nell’accezione positiva del termine, quale novella
‘macchina’ barocca), concettuale e spirituale, che si distacca
dinamicamente da quel supporto di travertino, raffigurante insieme la
croce del patibolo, la lastra dell’avello, l’albero della vita. E alla
base, nella ‘terra’ petrigna e ancora una volta travertinosa, non
troviamo il leggendario cranio di Adamo sepolto nel Golgota, ma la
ricorrente sfera liscia e luminosa roggiana a indicare l’unione tra lo
Spirito di Dio e quello dell’Uomo riconciliato con il suo Creatore.
Nella
sua creazione compaiono strutture ed elementi definenti il corpo di Cristo
in un continuo divenire, che si auto-disegnano nello spazio come nuclei di
pura energia ed equilibrio armonico. L’aerea aggregazione-disgregazione
materica tende a trasformarsi in dinamico equilibrio di
frammenti-idee-intuizioni trascendenti, intrisi di un’aspirazione al
movimento che anela a rappresentarne l’energia che lo origina e che si
manifesta come forza centripeta e centrifuga ad un tempo. La scultura si
presenta come una tormentata superficie articolata in cui il rigore non
scade mai in una rigidezza compositiva o in una fredda plasticità. Un
processo creativo assolutamente originale, che ha consentito a Roggi di
raggiungere livelli formali di altissima qualità, nei quali l’indagine
spaziale, ripetiamo, appare quanto mai integrata con la ricerca della
forma, possedendo una singolare vena ed una valenza narrativa e
filosofico-etico-concettuale.
Nel
caso di Andrea Roggi, la scultura si porta dentro un'aspirazione e un
destino di libertà. Fin dagli esordi le sue opere, infatti, hanno
celebrato la creatività di un artigianato spontaneo, fantastico e
fantasioso che rivela una gioia e una forza vitali, intrise, però, di una
schietta sacralità cristiana arcaica e ‘contadina’. Come un
demiurgo, egli ha la facoltà di ‘rigenerare’ il reale e di farlo in
forme nuove e simboliche, in forme che vanno oltre l'ovvietà
dell'apparente e del conosciuto per raggiungere nuovi accenti di poesia e
di vita. Roggi dà libertà creatrice alla sua mirabolante fantasia,
realizzando sculture di bronzo, di resina e di travertino dal forte
impatto formale e semantico, di robusta tecnica e autonomia espressiva. Le
sue sculture, come si è detto, rivelano sempre una profonda meditazione
simbolica ed allegorica, riflessione esistenziale sul Cosmo e sul suo
creare il Tempo e
la Storia. Una
visione cosmogonica dove, come per Lucrezio, la materia è ‘divina’ ed
eterna nel suo ondulatorio divenire (De
rerum natura: “nessuna cosa
mai si genera dal nulla […], nulla
può esser prodotto dal nulla […]; non può […] ogni cosa ridursi al
nulla […], non ritorna dunque al nulla alcuna cosa, ma tutte per
disgregazione ritornano agli elementi della materia). Nel turbinio
di questa materia eterna si coglie e si perde l’attimo fuggente, in un
continuo fluire, dove gli elementi (il bronzo scaturito dalla ‘terra’,
il ‘fuoco’ che l’ha forgiato, l’’acqua’ che l’ha
raffreddato, l’’aria’ che lo circonda) si gonfiano come vele,
respirano sotto la spinta del vento generatore-‘ispiratore’. Da queste
sfere, da queste campane traforate, al pari che dai suoi voli di
metafisici puttini e di funamboliche ballerine, si sprigiona, come da
crisalidi, la gioia della vita, da questi ‘archetipi’ deriva la
molteplicità della Natura e degli esseri viventi, il senso ‘divino’ e
‘sacro’ della vita umana. Una plasticità ed una permeabilità che,
come si è detto, libera i materiali dal proprio pondus. Metafore
del viaggio dell’umanità in perenne ricerca di nuovi orizzonti e di
nuove – anche scomode – terre interiori e spirituali. La ricerca dello
scultore toscano si rivolge ad esplorare le infinite possibilità della
forma, talvolta esteriormente racchiusa entro reticoli metallici e
tubolari di strutture geometriche euclidee, sempre visibilmente animata da
un'energia interna proiettata verso la conquista dello spazio. Roggi,
nelle sue opere, che sono costantemente materializzazioni di archetipi e
di idee, elabora un proprio codice espressivo parallelo, ma del tutto
singolare, rivolto, pur rimanendo ancorato alla figurazione, alla poetica
dell’astrazione.
Giampaolo
Trotta
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