Radicondoli,
sabato 2 dicembre 2006
Via
T. Gazzei – Area ex distributore
Inaugurazione
scultura
dedicata
alla poetessa Dina Ferri
opera
del Maestro Andrea Roggi
Catalogo
PDF
Programma:
Ore 16: inaugurazione e benedizione
Ore 16e30: Sala Convegni di Palazzo
Bizzarrini:
Saluto del Sindaco, Luciano Cillerai
Interventi: Gilberto Madioni, critico
d’arte
Andrea Roggi, Maestro di scultura,
ideatore e realizzatore del monumento a D. Ferri
Paolo Bartalini, giornalista e poeta, Giovani
poeti a Radicondoli nel nome di D. Ferri
Carlo Groppi, storico, D. Ferri
(1908-1930): una voce lirica tra il pascolo e la scuola
Saluti dell’Assessore alla cultura,
Daniela Brunetti
Ore 18e30: Scuderie Palazzo
Comunale:
L'erba
che mangia I sassi
Concerto per due attori in memoriam
Dina Ferri
Ideazione: Claudio Borgianni su testi
di Dina Ferri e Claudio Borgianni
Con: Valeria Ianniello e Claudio
Borgianni
Musiche: “Stabat Mater” di
Bruno Coulais
Tecnico audio: Luca Bianchi;
Responsabile progetto: Ileana Franchetto
Produzione: Bauci Teatro
Radicondoli:
spazi
d’arte tra memoria e contemporaneità.
La
scultura a Dina Ferri è l’incontro di due artisti: Dina Ferri, con le
sue parole, poesie, lettere
e
pensieri di inizio Novecento, e Andrea Roggi, scultore, con la sua
maestria e sensibilità di inventare e plasmare forme di oggi. La scultura
a Dina Ferri è un omaggio a questa giovane nata a Radicondoli nel 1908, e
qui vissuta in “una capanna dimenticata” nei primi anni della sua
vita, e al nome di
Radicondoli
che i suoi scritti portano in giro per il mondo. Scriveva lei stessa in
una riflessione sulla scultura: “Tante volte i libri mi avevano parlato
di opere meravigliose scolpite nel marmo di valenti artisti, e mi erano
cadute sotto lo sguardo fotografie di grandi monumenti passati immortali
nel lungo cammino dei secoli, ma mai mi ero fermata dinanzi ad uno di
essi. Stasera mi sono accostata a quei marmi bianchi che la Natura creò
immensi blocchi informi, e che l’uomo paziente lavorò col suo scalpello
fino a foggiarne delle figure così vere che sembrano sentire e
soffrire.”
Ecco
allora che anche la scultura a lei dedicata, in bronzo, ideata e
realizzata a Manciano di Castiglion Fiorentino (Ar), dove Andrea Roggi
vive a lavora, nel suo vivace Parco della Creatività, vorrà essere
occasione di riflessione e di approfondimento.
La
possibilità di riqualificare l’area dell’ex distributore, in
prossimità della scuola elementare, già a lei dedicata, ben si prestava
per la collocazione di questo monumento, che può diventare un simbolo di
accoglienza per chi arriva a Radicondoli, esempio al tempo stesso di arte
contemporanea e omaggio alla memoria.
Si
aggiunge così, a Radicondoli, uno spazio d’arte, di promozione, memoria
e armonia, un tassello importante in vista del 2008 quando ricorrerà il
centenario della nascita, in cui le Amministrazioni Comunali di
Radicondoli e di Chiusdino, dove Dina si trasferì bambina, ma anche
l’Amministrazione Provinciale, non potranno non pensare ad un
approfondimento della figura e dell’opera.
Novembre
2006
Il
Sindaco
Luciano
Cillerai
L’Assessore
alla cultura
Daniela
Brunetti
“Senza
passato non c'è futuro”; non
è questo un semplice modo di dire, quanto un messaggio ricorrente fra
politici e uomini di cultura, agli inizi di questo secolo dove i valori
umani sembrano venire meno e con essi lo sviluppo della cultura, che è
indice di civiltà dei popoli. E se i politici sembrano solo appropriarsi
di questo modo di dire e di pensare nei loro discorsi ufficiali, non così
è per gli uomini di cultura, letterati, scrittori, scultori, pittori, e
anche uomini di spettacolo (non ci riferiamo certo a tipi di spettacolo
“spazzatura” di cui sono ricchi anche i programmi delle nostre
televisioni). Un esempio di quanto andiamo dicendo trova conforto pure
nell’ultimo libro di narrativa, Premio Campiello 2006, dello scrittore
sardo Salvatore Niffoi, “La vedova scalza”, nel quale il professore di
Orani, paesone della Barbagia, difende il dialetto sardo, caratterizzato
da varie culture, che sono state alla base dello sviluppo di quel popolo,
accanto ai costumi, alle tradizioni ed al modo di vivere della gente di
Barbagia, pur ricca di contraddizioni.
E
il futuro del Comune di Radicondoli, piccola comunità della bassa Val
d'Elsa è caratterizzato grazie alla sua Amministrazione Comunale e al suo
popolo, semplice ma sincero, che è giunto al passaggio del secolo
attraverso i lavori del bosco, dei campi, in pieno contatto con una natura
splendida, che non ha tolto a nessuno quella voglia di ricordare, magari
davanti al focolare ed oggi in un circolo o in un bar, un passato che
caratterizzò questo territorio anche nel lontano Medioevo, ricco di una
civiltà magari semplice, ma caratterizzata da principi etico morali,
tramandati sino ai tempi nostri. E non è un caso che qui, tra verdi
vallate, pascoli ricchi di greggi, sotto un cielo immacolato, abbia
trovato i natali una giovane pastora, cui quel Creatore che ella stessa
adorava sin da bambina, le abbia concesso la facoltà e la fantasia di
cantare il “creato” attraverso versi poetici che l’hanno inserita
tra i grandi della
poesia
italiana; personaggio di spicco la giovanissima Dina Ferri, nata da una
semplice famiglia di contadini, rapita alla vita terrena in giovanissima
età, ma che ha lasciato quale preziosa eredità ai suoi concittadini,
attraverso versi poetici, una memoria indelebile di un passato fatto di
sacrifici, ma pure di preziose conquiste morali nel rispetto dei
principali valori umani che ogni essere vivente dovrebbe avere.
E
per ricordare la sua poetessa pastora, la Giunta comunale radicondolese ha
deciso di dedicarle un monumento in bronzo, a indelebile ricordo di un
passato che può e deve essere di esempio del presente e del futuro anche
alla odierna generazione.Tale opera è stata affidata ad uno scultore,
Andrea Roggi, nativo in una terra che ha veduto la civiltà degli etruschi
e dei romani, giunta sino ad
oggi
con le sue vestigia. Uno scultore che, seppur giovane, ha sempre ricercato
attraverso le sue opere scultoree e i suoi monumenti, quei valori
universali, che sono alla base della vita degli uomini e che di essi ne
tramandano ricordi di civiltà che, seppur lontane, rivivono ancora oggi
nella memoria.
E
Roggi si è immedesimato nel mondo poetico di Dina Ferri, rappresentando
la poetessa come una antica giovane “dea” dell’arte e della poesia,
alla maniera degli antichi greci, attraverso uno stile che ha
caratterizzato i grandi della scultura italiana che hanno dato vita e
gloria alla nostra arte scultorea dall'Ottocento ad oggi. Una Dina Ferri
quasi protesa con lo sguardo e le mani ricche di fiori di quei pascoli
semplici che l'avevano veduta bambina, verso il cielo, quasi in una posa
di ringraziamento nei confronti di quel Dio creatore che, pur concedendole
una vita tanto breve, le aveva permesso di immortalare attraverso i suoi
versi quel mondo immacolato e baciato dal sorriso di Dio, quale è la
campagna radicondolese. Un semplice abituccio, fatto di tanti fogli di
carta con sopra incise le
sue
poesie, è stata la magnifica idea del maestro di Manciano. Un abito
semplice, come si conveniva ad una pastorella, ma ricco di ricordi del
passato, testimonianza di un popolo vissuto di duro lavoro, ma confortato
da principi umani, fatti di rispetto per gli altri, in una visione cosmica
dal sapore religioso. Un’opera questa, che fa onore al popolo della
Montagnola senese, al Sindaco Luciano
Cillerai
che l’ha voluta, al suo giovane Assessore alla Cultura Daniela Brunetti,
alla Giunta tutta, opera raggiunta pure con sacrifici finanziari, a
testimonianza del passato, dell’oggi e dei giorni che verranno, indici
di una civiltà culturale, fatta di valori umani da non dimenticare.
Gilberto
Madioni, Critico d’arte, Siena, Novembre 2006
Quattro
storie per raccontare una vita. Appunti su Dina Ferri.
di
Claudio Borgianni
Alla
prima lettura del “Quaderno del nulla” si ha una sensazione di
spaesamento, di vuoto, colmato da una rilettura più attenta che lascia
emergere, attraverso un substrato di silenzi rivelatori, un sistema di
sottotesti, che rivelano una profondità inaspettata.
Vita
e opera si mescolano in un “tutto” inscindibile. Ovviamente si può, e
si deve, nel percorso analitico, rintracciare delle aree d’azione, dei
conglomerati concettuali. La stessa Dina ci suggerisce una possibile
schematizzazione: «La mia vita fino ad oggi? – scrive la Ferri - Un
libro di quattro pagine». Il quattro, cioè il quadrato, diviene il
simbolo, la costante irrinunciabile della propria vita. Il quadrato è una
figura antidinamica, ancorata sui quattro lati, rappresenta l’arresto o
l’istante isolato; implica un’idea di stagnazione e di
solidificazione. Se dovessimo rappresentare lo scorrere della vita
useremmo, d’istinto, forme rotondeggianti, sinuose, senza angoli, a
rappresentazione del divenire e dello scorrere della vita stessa. Per Dina
non è così, la sua vita è angolosa, spezzata, quadrata appunto, è una
vita in potenza, che mai riesce a risolversi arrivando a compimento.
Sfogliando
questo ipotetico libro di quattro pagine, troveremmo nella prima la Dina
pastorella che corre spensierata nella sconfinata libertà dei campi,
godendo della vita semplice, dei silenzi che le regala la natura in cui è
immersa. Abbiamo l’immagine di una ragazza di campagna che ama la vita
semplice e dura dei campi, dove la sua massima aspirazione di vita è
quella di fare la ricamatrice di bianco. Sogno che viene presto infranto:
l’11 gennaio 1924, con il trinciafieno, si taglia tre dita della mano
destra.
L’evento
fa sì che Dina prosegua gli studi. Nell’aprile 1926, l’ispettore
scolastico Barni, rimane colpito dalla qualità della scrittura della
giovane e persuade i genitori a mandarla a Siena per proseguire gli studi
Magistrali. Alcuni letterati si interessano all’opera letteraria della
Ferri e in poco tempo nasce un piccolo caso letterario nazionale. È negli
anni di lontananza che si apre in Dina il varco indissolubile della
malinconia del passato, il senso segreto delle piccole cose che costellano
la vita semplice, il desiderio degli spazi aperti e il silenzio delle
vallate. Una solitudine che si trasformerà in un lutto mai risolto. Ed
ecco parallelamente affiorare nella seconda pagina il suo primo dissidio
interiore: per poter cambiare la propria posizione sociale, attraverso lo
studio, deve, inevitabilmente, rinunciare agli affetti e ai luoghi
dell’infanzia. Il padre, Santi Ferri, sarà da questo momento in poi una
figura fondamentale di riferimento e di scontro per la giovane. Santi,
autodidatta, socialista, anticlericale, impegnato nella lotta contro i
soprusi sui contadini, spingerà e appoggerà in pieno il nuovo sogno di
Dina. Ma nell’estate del 1929 si ammala, iniziano i primi sintomi di ciò
che in seguito risulterà tubercolosi intestinale. Il 14 febbraio 1930
viene ricoverata presso l’Ospedale di Siena in gravissime condizioni.
L’ospedale è il protagonista della terza pagina della vita della
poetessa, la pagina forse più dura e dolorosa, che si apre con
l’ennesima rottura, l’ennesimo sogno infranto. Il desiderio di
riscatto sociale affievolisce con la malattia, che pian piano prende il
sopravvento portandola ad avere come unico desiderio quello della
guarigione, quello del ritorno alla vita.
Speranza
breve poiché si paleserà alla mente della giovane l’idea concreta
della morte che la porterà a rifugiarsi nella fede in Dio per ritrovare
forza e dignità. Un immagine che può sembrare scontata se non fosse per
il rapporto diretto che Dina ha con il suo Dio, un rapporto senza
intermediari, oserei dire, quasi gnostico. La morte, per Dina, è intesa
come liberazione dall’esistenza fisica, come ritorno ad un’unità
superiore, ed è proprio questa forza che l’aiuterà ad affrontare
l’ultima pagina della sua vita senza timori né paure. Nemmeno la morte
si risolve pienamente; pur affrontandola con coraggio,
l’eco
della vita segmenta la linearità dell’imminente evento. Ancora una
volta ritorna il quadrato, simbolo della terra, in opposizione al cielo,
ma anche, ad un altro livello, il simbolo dell’universo creato, in
opposizione al concreato e al creatore; in sostanza è l’antitesi del
trascendente.
In queste quattro storie incompiute, rimane una costante: la necessità
della vita. Ogni sensazione che Dina percepisce è come un impulso
incontrollabile alla scrittura, in cui, con uno stile scarno e
impeccabile, riesce a non dire mai, ma solo a farci percepire, l’essenza
stessa della vita.
Radicondoli 2 dicembre 2006 – Inaugurazione del
monumento in memoria della poetessa
Dina Ferri
E’
con immensa gioia che mi trovo qui, a Radicondoli, alla inaugurazione del
bellissimo monumento realizzato dallo scultore Andrea Roggi, in memoria ed
a onore di Dina Ferri, che figlia della terra radicondolese per modesta e
antica stirpe, ne cantò per tutta la breve vita i richiami ancestrali più
profondi.
Iniziai ad interessarmi alla vicenda
umana e poetica di Dina Ferri nel corso degli anni 1970-1972. La prima
persona che incontrai casualmente fu il fratello di Dina, Amilcare.
Avvenne a Radicondoli durante una Assemblea pubblica promossa
dall’allora sindaco Radi, alla quale partecipò il Segretario nazionale
del partito socialdemocratico, vicepresidente dell’ENEL, Pietro Longo.
Nell’antica sala del Consiglio Comunale (credo si tratti di questa
stessa sala), traboccante di cittadini venuti ad ascoltare
l’illustrazione delle positive prospettive aperte per quel territorio
dal ritrovamento del più potente soffione del mondo, il Travale 22,
Amilcare ed io eravamo seduti accanto e non ci volle molto a presentarci
reciprocamente. Fu così che mi accennò alla sorella poetessa. Poco tempo
dopo ebbi la possibilità di leggere i manoscritti di Dina ed il materiale
che egli custodiva gelosamente nella sua casa, in un piccolo salotto ricco
di memorie della sorella. Da allora il rapporto di amicizia con la
famiglia Ferri si è mantenuto saldo e affettuoso fino ad oggi , in
particolare con la moglie di Amilcare: Annunziata Cheli (Nunziatina), con
la figlia Dina Ferri Borgianni, con Claudio Borgianni, Alfredo Ferri, con
le famiglie Pericci e
Moschini. Rapporto di amicizia e fiduciosa collaborazione che mi ha
consentito di entrare nel mondo di Dina, la poetessa, rafforzando
l’esile traccia della mia ricerca. E' in particolare a Nunziatina e Dina
Ferri Borgianni che si deve l'amorevole conservazione degli scritti di
Dina Ferri (compresi i diciannove-ventuno con i due donati dalla sorella
della maestra Cairola, quaderni autografi mostrati dalla maestra
all'Ispettore scolastico, professor Mauro Barni), della sua intera
biblioteca privata, della prima edizione del <Quaderno del nulla> in
lingua italiana ed inglese e di molti articoli di stampa che la
riguardano; conservazione che consentirà in futuro, almeno lo spero, la
stesura critica dell'opera letteraria di Dina.
E’ nell’avvicinarsi alla data del primo centenario della
nascita della poetessa che ho avvertito l’urgenza di non tradire
completamente la promessa fatta nel corso delle celebrazioni svolte nel
1998 in omaggio a Dina Ferri, di mantenere viva la sua memoria.
Grazie al fecondo sodalizio con il
giovane amico Claudio Borgianni, parente della poetessa, che già tante
prove ha dato, non solo di affettuoso legame con la zia, ma di vivace
ingegno artistico, musicale, lirico, drammatico, abbiamo raccolto scritti
e documenti eterogenei, alcuni editi, anche se ormai poco noti, altri
completamente inediti, ma tutti assai interessanti per aiutarci a
comprendere la complessa personalità della poetessa che ancora oggi ci
stupisce con la musicalità dei suoi versi e la profondità delle sue
prose.
In particolare voglio sottolineare le
interviste realizzate nel 1998 a persone che Dina hanno conosciuto,
persone anziane, la cui memoria si manteneva viva e nostalgica, oggi
diverse di loro saranno morte. Non disperdere, non far cadere nell’oblio
i mesti ricordi, parve ai curatori di questo lavoro, un compito
importante. Parimenti, il ricco apparato delle fonti bibliografiche, delle
domande e risposte ad un semplice questionario delle scuole elementari
risalente al 1980, la lettera di Aldo Lusini scritta al padre di Dina,
Santi, pochi giorni dopo la morte della poetessa, lettera che getta un
fascio di luce sulla produzione di Dina e ci sprona ancora a cercare i
quaderni dispersi; infine il semplice elenco dei libri che Dina aveva
nella sua biblioteca personale, per capire meglio l’andamento dei suoi
studi e i contatti letterari negli ultimi due-tre anni della sua breve
vita.
Io e Claudio abbiamo tentato tutte le strade possibili per reperire
parte dei finanziamenti occorrenti, non solo allo sviluppo della ricerca,
ma all’edizione e alla diffusione della stessa. Purtroppo senza
riuscirvi. Solo il Comune di Radicondoli non si tirò indietro e di ciò
voglio rendere onore al sindaco Cillerai e all’assessore Brunetti. Ma i
fondi reperiti non furono sufficienti e adesso attendiamo con rinnovata
fiducia il 2008, Centenario della nascita di Dina per ritentare l’ardua
prova!
E bene ha fatto il Comune di Radicondoli, sul percorso di
avvicinamento al Centenario, a porre in uno dei luoghi più significativi
del paese, anzi, praticamente nella piazza che per prima da’
l’accoglienza agli ospiti e agli amici, italiani e stranieri, non una
semplice targa commemorativa, ma un’opera d’arte di alto ingegno e
meravigliosa fattura, che,
mentre rende omaggio alla poetessa, nata non per caso nel Comune di
Radicondoli, rende anche omaggio ad una consolidata tradizione culturale
di Radicondoli che fa onore alla pubblica amministrazione e alla sua
gente. Voglio solo di sfuggita rilevare che l’inaugurazione della
scultura va ben al di là di Radicandoli! E’ un tangibile riconoscimento
alla donna, nel 60° anniversario di quel
“suffragio universale” adottato dalla repubblica Italiana che
permise alle masse femminili di avvicinarsi, almeno teoricamente, alla
condivisione della “grande politica” e delle responsabilità di
governo, locale e nazionale. E, inoltre, non credo che in Italia ne
esistano molte di sculture “civili” dedicate alle donne!
In molti si soffermeranno ad ammirarla
e in molti, i più giovani, si domanderanno chi fosse Dina Ferri e perché
questa figura di giovane ragazza sia là:
Mi
permetto di dire stasera che i molteplici temi che si ritrovano
negli scritti infantili e della acerba maturità di Dina non si possono
nemmeno accennare brevemente in questa particolare occasione, nella quale
basterà sottolineare il richiamo ad una profondità e musicalità
inattese, dono questo, del tutto naturale, e forse il più significativo,
dato che nel passare dei decenni, delle mode letterarie, delle tendenze,
ritorniamo frequentemente al quel “piccolo rivo di puro lirismo” ber
abbeverare le nostre anime stanche e confuse.
Ma
Dina, oltre l’immagine, forse troppo abusata, della contadinella-pastora
che porta il suo gregge nel monte, mentre ella scrive, o medita il suo
“Quaderno del nulla”, oppure ridà vita a modi linguistici e fiabeschi
appresi sul canto del foco e arrivati fino a lei dal lontano passato, è
anche l’anima inquieta dell’adolescenza che sogna la fuga e
l’avventura romantica, l’anima che si interroga, di fronte alla
malattia e, credo, di fronte al male che coglie nell’umanità, dubitando
che ci possa essere una vita dopo la morte e un Dio consolatore ad
accoglierla. Poi, dal Nulla che pare travolgerla ecco inatteso alzarsi un
mistico canto a Dio e un anelito al totale annullamento in lui.
Adesso
questa stupenda opera d’arte ce l’avvicina ancor più: la giovane
poetessa è colta in un momento di sognante slancio, guarda lontano, lassù,
alle magre pasture, alle tramontane e al silenzio di boschi fitti e
tenebrosi, guarda all’incessante lavoro e fatica degli uomini, offrendo
un mazzolino di fiori selvatici a quel Dio tanto invocato e finalmente
raggiunto.
Anch’io
sono andato più volte dove Dina nacque e visse i primi sei anni risalendo
il Rimaggio nei luoghi ancora selvaggi di un mondo lontano, dove ella,
a contatto con un ambiente ostile, ma in un contesto familiare
profondamente buono e capace di sopportare con dignità le infinite
sofferenze che caratterizzavano la vita dei mezzadri, plasmò la sua anima
nella quale si formarono i primi delicati pensieri che avrebbe espresso in
forma di struggente nostalgia nei diari, nelle lettere e nelle poesie. E a
Dina, modestamente, lassù, innalzai il mio canto:
S’è spenta la querula voce
della fanciulla che non conobbe amore.
I boschi sono pieni di silenzio,
le pietre non possono piangere.
Greggi straniere vanno sul monte:
casolari, città lontane, l’infinito
orizzonte, il firmamento sereno
e il maggio con l’alpestre splendore
mirano occhi che non sono i suoi.
Sfuma il ricordo, si placa il desiderio,
anni si ammucchiano ad anni,
speranze a inganni; essere stati
è come il vento d’una antica stagione,
vento perduto, il nulla,
forse la vita che incessante
rinasce in altre forme.
La vita, il quaderno, la rosa,
il dolore e la croce:
s’è spenta la querula voce
e ancora ci addolcisce la canzone
il cuore.
Del sol morente un raggio
è nostro prigioniero
e dà calore.
Radicondoli, 2 dicembre 2006, Carlo Groppi.
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